La canapa e la fabbricazione della corda

Fin dall’antichità le corde venivano prodotte partendo dalla filatura di fibre vegetali. Non fanno eccezione le corde prodotte a Castelponzone che hanno visto fino alla metà del secolo scorso la canapa come principale materia prima.

Ragioni economiche, legate all’abbandono della coltivazione della canapa di cui l’Italia era il secondo produttore europeo dopo la Russia per quantità e primo per qualità, hanno decretato il progressivo abbandono dell’uso della canapa in favore di filati come il sisal (fibra dell’Agave sisalana) e il manilla (fibra dell’àbaca o Musa textilis). Poi le fibre sintetiche e l’industrializzazione hanno dato il colpo di grazia alle corde fabbricate manualmente a Castelponzone.

 

La canapa

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La canapa, tra le altre innumerevoli caratteristiche, aveva la proprietà di offrire fibra particolarmente tenace, ma allo stesso tempo morbida, e resistentissima all’acqua.

Quella usata dai cordai di Castelponzone proveniva dalle coltivazioni in zona ma, dato l’alto consumo, veniva anche importata dalle zone ferraresi e bolognesi ad alta produzione di canapa.

Le fibre utilizzate per la fabbricazione delle corde derivavano dalla qualità Cannabis Sativa, da non confondersi con la Cannabis Indica.

Raccolte tra la fine di luglio e agosto le piante adulte, che avevano una altezza di tre o quattro metri, venivano poste qualche giorno al sole per far seccare le foglie e poterle facilmente staccare. Poi le canne venivano poste a macerare nel canale Delmonazza per 30/40 giorni e successivamente poste a seccare al sole in fasci aperti, a forma di piramide. Lo stelo, detto canapulo, diventava così secco e fragile, tanto che battendolo sulle aie con un bastone, o passandolo in una macchina semplice detta “gramola”, si sbriciolava e schizzava via in minuscoli pezzi, lasciando libera la fibra tessile. In tanti casi la fibra veniva staccata a mano.

La fibra così ottenuta era troppo grezza per poter essere utilizzata; dunque il cordaio la pettinava con l’uso di rudimentali “pettini” irti di chiodi, ottenendo il duplice risultato di ridurre le singole fibre alle dimensioni volute e di separarle dalle impurità. Una volta che la canapa era così preparata si poteva andare sui “sentèer” a filarla.

 

 

Per chi volesse approfondire la conoscenza di questa pianta straordinaria e l’uso delle sue fibre consigliamo di leggere il capitolo

La coltivazione e l’industria domestica della canapa

tratto dalla guida on-line del Museo della Civiltà Contadina di Bentivoglio (BO)   http://www.museociviltacontadina.bo.it/Engine/RAServePG.php/P/269311340400/M/261911340404/T/Guida-allesposizione-permanente-Contadini-della-pianura-bolognese-1750-1950

 

Ringraziamo il Museo della Civiltà Contadina di Villa Smeraldi a Bentivoglio per la gentile disponibilità.